OVVERO COME DARE UNA LEZIONE AGLI IDIOTI REALI NEI MONDI VIRTUALI: UN APPROCCIO PSICOLOGICO

PREMESSA

La volta scorsa ci siamo lasciati al termine di un’analisi piuttosto articolata, lunga e sconclusionata in merito a che cosa sia un ambiente virtuale, come si innesti nel contesto dell’intrattenimento meta-televisivo e di quali siano i meccanismi profondi che possono decretare il successo o l’insuccesso di un qualsiasi evento organizzato e massivo che si svolga in tale spazio. Quei due lettori forzati che hanno letto quello sproloquio, ricorderanno certamente come un incubo il fatto che avevamo affrontato la questione del ruolo soggettivo nel contesto di una società virtuale e discusso anche di come i singoli abbiano la capacità di determinare comportamenti globali delle società di cui sono membri.

Con il proliferare di giochi online e di integrazioni digitali ai programmi televisivi, è diventato evidente a tutti (?) che i comportamenti dei clienti online hanno impatti radicali sulle revenue.

Visto che il tema è particolarmente importante e sentito e che orde di voi hanno chiesto di darne una versione meno filosofica, oggi riprendiamo quell’argomento per la pura gioia dei vostri istinti suicidi.

Attenzione! Questo articolo fa uso di un linguaggio inappropriato per un consesso di professionisti quale il nostro. Fortunatamente il linguaggio che useremo è assai meno offensivo di quello che è possibile incontrare durante una qualunque sessione di gioco o chat online, quindi dovremmo comunque sembrare un gruppo di collegiali riunite al molo 5 del porto di Genova tra scaricatori festanti.

1. ALCUNI GIOCATORI SONO STRONZI

E’ un dato di fatto. Per quanto ci sforziamo di essere equi nei nostri giudizi, alcune persone sono stronze; intimamente stronze, stronze nel DNA. “Stronzo” qualifica un giudizio assoluto, non è sindacabile. Sindacabile è “bello”, “carino”, “simpatico”. Stronzo, invece, inchioda una persona alla realtà del suo essere fuori synch con una intera categoria di persone appartenenti al genere umano (e ne conosco un paio che sono proprio al di fuori del genere umano nella sua totalità).

Di tutti i modi in cui spendo il mio tempo libero, giocare online è l’unico che mi sento di definire come “frequentemente barbarico”. Insulti di ogni tipo, offese di tipo razzista e omofobico, proposte indecenti e gentili epiteti rivolti alle mamme altrui sono piuttosto comuni.

Le ragazze che conosco e che giocano online evitano qualunque informazione o atteggiamento che possa identificarle come “donna” – incluse le comunicazioni vocali – per evitare ogni possibile attenzione indesiderata e frequentemente negativa.

Questi atteggiamenti non qualificano ancora compiutamente “lo stronzo”, ne tratteggiano appena la silhouette ma attengono più alla sfera dell’educazione. Lo stronzo non è un soggetto esclusicamente attivo e volontario; quello che abbiamo appena visto riguarda solo il modo in cui i giocatori insultano in modo intenzionale; ciò che alcune persone fanno mentre vivono o giocano online costituisce l’elemento identificativo dello stronzo così come lo intendiamo in questo articolo.

Imbrogliare, minare la solidità di un team o di un cast dall’interno, collegarsi ed entrare nel gioco ma non giocare, uscire prima che la partita sia finita e altre inconsistenze sociali sono relativamente comuni (ricordate che uso facciamo dell’aggettivo “consistente”?). Abbastanza comuni da finire già cinque anni fa in un fumetto di Penny Arcade che, scherzando, si pone la domanda serissima del perché gente del tutto normale, quando va on-line, si trasformi nella versione digitale di Fabrizio Corona.

©2004 Penny Arcade

2. COME CI SI COMPORTA CON QUESTA GENTE?

Perché dovrebbe fregarcene qualcosa? Alcuni di voi potrebbero pensare: “Se hai la pelle sensibile al punto da non reggere qualche riffetto online, forse non dovresti andartene in giro per mondi virtuali tremante e stressato; trovati un hobby come collezionare tappi della Coca Cola1 e vivi felice”. Sfortunatamente è esattamente ciò che molte persone fanno: smettono di giocare online.

Ancora di più sono i giocatori che vanno online alcune volte e poi non tornano mai più a giocare. In un mondo di statistiche mentali del tutto false, vi assicuro che questa non è l’opinione personale di chi scrive; ho visto e abbiamo raccolto – anche sul nostro sito – dati significativi e convincenti da due diverse fonti che il più grande problema del gioco online è il comportamento altrui. Il più grande problema di un servizio pubblico elettronico non è di costo di realizzazione o di esercizio, non riguarda i problemi di connessione e neppure (pensate) la qualità del prodotto in sé: il problema è il livello di stronzaggine della nostra società on-line.

Per rendere la cosa concretamente inquadrabile, vi faccio un esempio significativo (ma vi invito a non verificarlo sperimentalmente se ci tenete alla salute)! Immaginate di essere entrati in un ristorante nel quale non siete mai stati prima; il cameriere vi porta il menu e dopo qualche attimo nel quale rischiate di fare la fine dell’asino di Buridano2 vi decidete a provare il filetto al pepe verde. Mentre state comunicando al cameriere la vostra complicata decisione, un omone seduto al tavolo accanto al vostro origlia e sente quello che state dicendo, vi guarda, si alza e dice – rivolto a tutta la sala: “Filetto al pepe verde?!” Ma che cacchio di niubbo3 sei? Ehi, gente… questo ritardato ha appena ordinato un filetto al pepe verde! Dio, sono contento che tu non sia al mio tavolo!”. Una risata corale sale dai tavoli attorno a voi mentre decine di teste prima distratte e ora improvvisamente attente, si muovono cercando con lo sguardo il ritardato che ha ordinato addirittura una porzione di filetto al pepe verde.

Il personale del ristorante non si fa vedere e del resto non siete sicuri che interverrebbe; arrivate a convincervi che quello cui siete stati sottoposti sia un comportamento normale di questo locale. Quanto buono dovrebbe essere il cibo che vi servono e quanto a buon mercato il prezzo per convincervi a tornare in quel ristorante? Portereste qualcuno con voi? Chi? La maggior parte della popolazione mondiale non tornerebbe in quel locale e avvertirebbe chiunque di propria conoscenza suggerendo caldamente di evitarlo come la peste bubbonica o come Marina di Cerveteri nel mese dii agosto.

Quindi, di nuovo: perché continuo a manifestarvi preoccupazione per i disturbatori genetici? Perché il comportamento on-line dei nostri clienti riduce in modo sensibile le nostre revenue potenziali e reali ed è un freno alla crescita del settore! Chi non è un appassionato di videogiochi ma solo un giocatore occasionale, non ama i giochi abbastanza da riuscire a superare il senso di schifo per la cacca che ricevono addosso quando vanno on-line. L’unica ragione per la quale prenderebbero in considerazione di giocare in rete è quella di divertirsi con altre persone ma, in questo momento, giocare on-line con degli sconosciuti raramente mantiene le promesse e conferma le aspettative di chi non sia nel cluster demografico dei giocatori hardcore.

3. DOMANDA: C’E’ UNA SOLUZIONE?

Risposta breve: sì. Fine dell’articolo.

Invece continuiamo. Sì, questo problema di quieto vivere virtuale può essere risolto o, almeno, fortemente mitigato e ridotto a profili di frequenza paragonabili a quelli riscontrabili nella vita reale. Gli ambienti sociali e culturali possono essere progettati, come abbiamo verificato nello scorso articolo. Così come il buon design di un videogioco sviluppa un gameplay divertente, così un buon progetto sociale crea l’ambiente favorevole a sviluppare esperienze sociali piacevoli e soddisfacenti Sfortunatamente chi si occupa dello sviluppo di giochi e ambienti virtuali massivi online sembra aver allocato ben poche risorse alla progettazione degli aspetti sociali di questi ambienti.

Onestamente, io non credo che i vincoli di risorse siano una delle causa della persistenza del problema; penso che la maggior parte della gente semplicemente non crede che i problemi sociali possano essere risolti. E’ un credo molto comune che ho sentito ribadire più volte come giustificazione per non affrontare in modo sistemico le disarmonie sociali nei contesti virtuali a larga partecipazione: in fin dei conti, si dice, “uno stronzo resta uno stronzo”. Essenzialmente, molte persono sono convinte che:

  1. Il comportamento è determinato dalla personalità, e
  2. Non possiamo cambiare la personalità della gente

Se è vero che sono (parzialmente) d’accordo con il secondo punto, è anche vero che tale punto non ha rilevanza poiché dipende integralmente dalla veridicità del primo che – al contrario – è stato costantemente contratteddo da 60 anni di ricerche di psicologia sociale. Il comportamento umano è complesso e determinato da molti fattori.

La personalità è certamente uno di questi fattori ma è un fattore sorprendentemente piccolo. Il più grande determinante di comportamento è l’ambiente sociale percepito (evvai… siamo arrivati ad un momento di incredibile coerenza con quello che abbiamo scritto nell’articolo precedente). Rallegratevi, è una buona notizia visto che sia l’ambiente sociale sia la percezione possono essere progettati e controllati!

Ovviamente, il fatto che noi diciamo di non essere d’accordo con un convincimento diffuso e popolare non è una ragione sufficiente a convincervi che, per quanto contro-intuitivo, quello che scriviamo è vero: abbiamo bisogno di qualche prova! L’evidenza degli effetti dell’ambiente sociale sul comportamento viende da due fonti: l’osservazione del mondo reale e studi accademici di psicologia sociale. Probabilmente dovrei dovrei aggiungere una terza fonte, quella dei disegnatori di fumetti che riescono a cogliere i tratti essenziali delle cose senza alterarle con sovrastrutture di parole. Il fumetto di Penny Arcade che mostra un normale individuo che diventa uno stronzo colossale quando si trova in una situazione di gioco multiplayer – anonimo, con un’audience – era abbastanza accurato anche se il quadro mostrato era un po’ semplificato.

4. LA PROVA: L’AMBIENTE SOCIALE HA IMPATTI SUL COMPORTAMENTO

Nella vita reale le persone sono capaci di una incredibile varietà di comportamenti; vanno al bar il sabato sera e in chiesa la domenica mattina e riescono a non farsi buttare fuori a calci da entrambi. Come fanno? Di solito non pregano al bar e non fumano e bevono durante una funzione religiosa e ciò pare essere sufficiente. Perché?

Nel mondo della ricerca, gli psicologi sociali hanno dimostrato quanto in là possono spingere il comportamento umano semplicemente controllando il modo in cui i soggetti sottoposti a esperimento percepiscono la situazione. Uno degli esperimenti che preferisco (citato anche nel precedente articolo) è stato condotto nel 1973 da Darley e Batson ed è noto come l’intervento del passante. I nostri eroi (almeno per le finalità di questo articolo) volevano determinare l’effetto che la situazione (il contesto) ha sulla propensione della gente ad aiutare uno sconosciuto che si trovi in stato di difficoltà.

Nel loro esperimento, chiesero ad alcuni studenti di Princeton di recarsi nell’edificio accanto per andare ad ascoltare un sermone da imparare a memoria. Ad una parte di loro di loro fu detto di affrettarsi a raggiungere la sala della funzione poiché erano in ritardo; all’altra parte degli studenti fu invece detto che avevano tempo a disposizione ma di recarsi comunque nella sala della funzione e attendere lì.

Mentre si recavano nella sala, che si trovava nell’edificio accanto a quello di partenza, ciascuno dei soggetti si trovò a passare accanto ad un uomo accasciato a terra e che tossiva lamentandosi in modo straziante.

Tra gli studenti che pensavano di essere in ritardo, solo il 10% si fermò per aiutare l’uomo in stato di bisogno. Di quelli convinti di avere tempo a disposizione, il 63% si fermò a prestare soccorso. Alcuni studenti hanno letteralmente camminato sull’uomo mentre ripetevano il sermone!

L’argomento del sermone? La parabola del buon samaritano, naturalmente (e c’è chi dice che gli psicologi non hanno il senso dell’umorismo)!

5. LA PROVA: PROGETTAZIONE SOCIALE DI SUCCESSO NELLA VITA REALE

Gli esperimenti condotti dagli psicologi sociali sono interessanti ma non hanno alcun valore se non troviamo un riscontro concreto di questa influenza sul comportamento sociale nel contesto della vita vissuta. In realtà tale riscontro è talmente continuo e pervasivo delle nostre vite che non siamo più in grado di riconoscere quando siamo di fronte a un buon social design che consente il quieto vivere.

Un brillante esempio di social design inconsapevole ce lo offrono i primi psicologi: i baristi.

Dire agli avventori di un bar che non possono sorbirsi altri alcoolici perché è arrivata l’ora di chiusura può portare a situazioni spiacevoli e dannose. Che soluzione hanno trovato? Molti baristi fanno una prima chiamata di avviso di chiusura circa un’ora prima di abbassare la saracinesca e lavare i bicchiere; fanno poi una seconda chiamata circa 15-20 minuti prima.

Questo avviso anticipato rispetto al giro della staffa, minimizza la potenziale pericolosità di una situazione sociale che altrimenti vedrebbe un’accoppiata esplosiva: evita di sorprendere gente alticcia con la notizia che la festa è finita. Un barista avrebbe molte altre opzioni comportamentali, come chiamare la polizia o minacciare di non accettare più in futuro quel tale avventore, ma rischierebber di perdere i clienti se mai arrivasse a questi estremi.

Un esempio ancora più rilevante lo abbiamo visto nello scorso articolo; l’industria cinematografica ha cambiato la cultura degli spettatori in risposta alla minaccia costituita dai telefoni cellulari.

Prima che i telefoni cellulari divenissero popolari, le persone avevano una sola risposta comportamentale dominante allo squillo del telefono: rispondere.

Quando i telefoni cellulari presero piede, alcune persone applicarono la risposta comportamentale “rispondi e non ti preoccupare” ovunque si trovassero, inclusi il cinema e il teatro! Durante il film o lo spettacolo (memorabile la scena di Pieraccioni a teatro con un Alessandro Haber incazzato come una iena)! Dopo tutto che cosa ci si aspettava che facessero? Non rispondere? Sarebbe stato da maleducati…

All’inizio l’industria ignorò questa minaccia alla socialità dell’esperienza dell’andare al cinema per vedere un film, non avendone riconosciuto immediatamente la concretezza. In anni recenti, però, ha iniziato aggressivamente a mostrare spot con l’invito a spegnere i cellulari, subito prima dell’inizio del film.

La mia esperienza personale è che i telefoni cellulari non squillano tanto quanto dieci anni fa e che le persone che parlano al telefono durante uno spettacolo sono piuttosto rare, anche perché vengono immediatamente incaprettate e picchiate dagli altri spettatori (nel più assoluto e rispettoso silenzio).

Il dato importante di questo aneddoto è che l’industria cinematografica riconobbe che il proprio valore distintivo rispetto al guardare un film a casa, comodamente seduti sul proprio divano è dato dalla socialità dell’esperienza; una volta compiuta questa presa di coscenza, si mosse per mettere letteralmente a tacere la minaccia (mi spiace, non ho resistito a fare la battutaccia). La salute della loro industria dipendeva dal riuscire a cambiare le regole dei comportamenti ritenuti socialmente accettabili all’interno di un cinema. Un nuovo cosmo di regole che diventano vigenti (perché accettate) nel momento stesso in cui si varca la soglia d’ingresso e che si sospendono quando lo si fa in direzione opposta.

Non ho citato questo esempio per arrivare a dire che dovremmo mettere dei cartelli grafici prima di un videogioco dell’accesso a uno show virtuale, magari dando il comandamento “non essere stronzo”! Sarebbe naive all’estremo!!! Il messaggio chiave dell’esempio è che l’industria cinematografica si è resa conto che pochi suoi clienti stavano infastidendo oltre il limite la maggioranza dei propri clienti. Così (alla fine) ha intrapreso passi efficaci per ridurre questa minoranza a marginalità facendosi aiutare dai clienti stessi. Il motto che vorrebbe “uno stronzo essere sempre uno stronzo” non è né vero né utile; è la scusa che ci permette di lavarci le mani della nostra incapacità di guadagnare un’audience più ampia.

Come divevamo nel precedente articolo, non è una nostra responsabilità obbligatoria, non più di quanto non lo fosse per l’industria del cinema, ma gli incentivi economici sono esattamente gli stessi.

6. QUALCHE ESEMPIO DI DESIGN SOCIALE DI SUCCESSO NEL MONDO VIRTUALE

La maggior parte dei giochi multiplayer e delle piattaforme tecniche utilizzate per svilupparli e produrli offre già in partenza alcune funzionalità orientate alla socialità; le liste di amici, gilde/bande e sistemi per meeting virtuali (i cosiddetti party) sono tutti esempi di design sociale utile. Credo che ognuno di noi sia concorde nel ritenere che queste funzionalità incrementino significativamente il divertimento quando si gioca o ci si relaziona in tanti.

Ma queste funzionalità non sono sufficienti; funzionano bene se avete già degli amici on-line ma se siete niubbi molto probabilmente non avete (ancora) amici e siete destinati a una vita virtuale isolata e solitaria da vivere in qualche mondo sterminato e malvagio, alla mercè di chiunque (specialemente degli stronzi genetici).

Una funzionalità indiretta ma utile che non richiede amici per essere efficace è il filtro per gli insulti e il turpiloquio. Le chat, anche in quelle meglio moderate, finiscono per diventare luoghi attraversati da incredibili volgarità. Quando però un filtro ben funzionante modifica le parole ritenute offensive (“stronzo!”) in qualcosa di meno aggressivo (“&%*^!”), la reazione violenta all’ingiuria secondo l’adagio antico che sangue chiama sangue, cala drasticamente poiché la modifica rende l’insultatore… beh, ridicolo e triste.

Caricaturare, come se fosse un personaggio dei cartoni animati, piuttosto che aggravare con l’additamento esplicito. Scommetto tutto quello che volete che alcuni niubbi non sanno neanche che esiste un filtro di questo tipo fino a quando non scrivono qualche bel florilegio di maleparole e si accorgono che la la chat le ha “sanitizzate”.4

Un altro bell’esempio di social design viene dal gioco Shadowrun, un gioco multi utente basato su squadre e consistente in ammazzamenti vari al quale ho avuto la fortuna di lavorare. Uno dei problemi fondamentali dei giochi basati sulle squadre è che alcuni giocatori (specialmente quelli abituati a giocare agli shooter5) non hanno alcuna inclinazione naturale per il gioco di squadra!

Anzi! E piuttosto comune che i membri di una squadra si concentrino più sul battere i propri compagni per puro prestigio (punteggio, numero di vittime, …) piuttosto che sul battere i rivali! Nei LAN party (le sessioni di gioco online nelle quali decine o centinaia di persone si ritrovano in un capannone puzzolente per giocare tutti assieme per due giorni e due notti) spesso si sentono voci di ragazzini in età pre-pubertà urlare: “ladro di omicidi!”. Sono frasi che escono dalla bocca di chi è integralmente preso dalle proprie statistiche personali piuttosto che dal portare complessivamente vantaggi alla squadra.

Per ridurre questo tipo di comportamento anti-collaborativo, in Shadowrun abbiamo modificato il meccanismo di calcolo delle statistiche (praticamente lo stesso da quasi trent’anni nel mondo dei

videogiochi) per premiare i comportamenti vantaggiosi per il team molto più di quelli che portano a successi individuali. Una vera rivoluzione copernicana.

Abbiamo stabilito premi per l’uccisione di un nemico proporzionali al contributo offerto nel compiere l’impresa; così, se un giocatore procura il 90% dei danni fisici a un nemico e un suo compagno di squadra gli sottrae la soddisfazzione di stoccare il colpo di grazia, il primo giocatore prende il 90% del premio (e dei benefit virtuali!6) per l’uccisione e l’egoista ladruncolo di soddisfazioni solo il 10%.

Per contrastare altri comportamenti scorretti non intercettati dal sistema di giocho, spesso questo tipo di giochi adotta un meccanismo, detto vote-kick, che permette alla maggioranza dei giocatori di espellere dal gioco un altro giocatore ritenuto seccante e scorretto. In linea di principio parrebbe una buona idea ma, più spesso che no, il sistema si trasforma in una compito sociale ultroneo piuttosto che in un valido strumento ben integrato con la meccanica e gli scopi del gioco (sognavo da una vita di usare l’aggettivo “ultroneo”).

Accade che qualche residuo stronzetto genetico chiami al voto un gruppo di persone per far cacciare dal gioco persone del tutto innocenti; oppure che tra due giocatorisi sviluppi una faida e che ciascuno chiami ripetutamente al voto gli altri giocatori nel tentativo di far buttare fuori l’altro.

Altre volte nessuno viene buttato fuori (pur avendone ogni motivo) solo perché molte persone decidono di non votare non desiderando altro che giocare piuttosto che essere giudici.

La compensazione di questi fenomeni inattesi trova risposta in un’altra novità che abbiamo introdotto in Shadowrun. Abbiamo dato ai giocatori poteri per proteggersi da questi stronzetti virtuali. La nostra soluzione a questo problema sociale è stata quella di diminuire la casistica del ricorso al voto di espulsione disincentivando quelli per fatti marginali ma garantendo quelli derivanti da casi più seri (es.: quando è probabile che la maggior parte dei giocatori partecipi al voto).

Nello specifico, abbiamo introdotto due ulteriori cambiamenti al sistema tradizionale di voto:

  • Abbiamo reso la chiamata al voto un comportamento rischioso. Di solito i votanti hanno due opzioni: astenersi o votare per buttare fuori il soggetto incriminato. La novità che abbiamo introdotto è stata quella di aggiungere una terza voce: butta fuori chi ha chiamato il voto. Questa opzione offre un grande potere ai giocatori e determina un grande rischio per chi abusa dello strumento: se uno stronzetto ha chiamato un voto a caso, c’è una chance concreta che egli stesso venga estromesso dal gioco.
  • Abbiamo bloccato le faide al secondo voto. Abbiamo cambiato il tipico sistema vote-kick per permettere al sistema di apprendere il concetto di faida e riconoscerne un caso quando si presenta. Dopo che un giocatore ha votato contro un altro giocatore, il server considera la coppia come entrata “in una faida”. Se una delle due parti chiama un voto contro l’altra, il voto viene gestito diversamente da un voto chiamato tra parti che non sono in faida: invece della possibilità che nessuno dei due nemici venga buttato fuori, un voto tra parti che si trovano in una faida deve finire con uno dei due espulsi dal gioco. In pratica, in un voto di faida scompare la possibilità di astenersi. Questo cambiamento ha inculcato nella testa dei giocatori il valore derivante dalla comprovabilità delle proprie lamentele; questo concetto fa da metrica nel valutare vantaggi e svantaggi dell’accanimento contro qualcuno; agire per espellere un giocatore dovrebbe essere una estrema ratio cui agire quando piuttosto si preferirebbe uscire personalemente dal gioco piuttosto che dover rimanere in squadra con quel giocatore.

Queste due innovazioni del sistema tradizionale, pur essendo di pura meccanica strumentale, hanno avuto l’effetto di plasmare valori sociali che hanno cambiato l’ambiente sociale rendendolo sensibilmente migliore; un ambiente nel quale una maggioranza di giocatori può ancora sbarazzarsi degli stronzetti genetici ma questi ultimi non possono sfruttare il sistema distorcendolo per trasformarlo in una clava che tira mazzate a caso.

Di più, se due giocatori scatenano una faida, la faida finirà molto presto (al secondo voto), così che gli altri giocatori non debbano tollerare l’ambiente tossico prodotto di questi due giocatori che sono più intenti a farsi la guerra che a giocare. Una volta che che il sangue diventa marcio, meglio separare le parti come c’insegna il dr. House

Ho portato questi esempi di social design – cioè di funzionalità introdotte e progettate per migliorare la dimensione sociale delle relazioni di gioco – con lo scopo di mostrare che gli ambienti virtuali hanno già qualche forma di design sociale (anche se non la chiamano così).Tuttavia questi sono insufficienti poiché la maggior parte di essi è diretta ai videogiocatori accaniti e non alla realizzazione di comunità che accolgano i nuovi giocatori. Dovrebbero essere garantiti investimenti nella progettazione dell’esperienza sociale.

I giochi e le piattaforme di gioco che creano ambienti sociali soddisfacenti per i giocatori non assidui riusciranno a vedere premiati i propri sforzi con il premio di una customer base più ampia e fedele. Il successo di giochi come World of Wordcraft della Blizzard risiede massimamente nella maestria dei progettisti nel costruire un ambiente sociale amichevole verso i nuovi arrivati e intrigante per gli appassionati. Ci hanno mostrato che è possibile raggiungere entrambi gli obiettivi.

6. CONCLUSIONI

Non dobbiamo permettere che lo stronzismo diffuso abbia impatti negativi sulla popolarità e sulle vendite dei nostri giochi, servivi e show virtuali. Gli ambienti sociali possono essere progettati, alterati e manipolati per minimizzare i comportamenti anti-sociali. Il conflitto sociale è inevitabile, specialmente nei videogiochi e in quegli ambienti partecipativi nei quali la storyline comporta una contrapposizione tra le parti; ma non deve essere frequente o grave com’è oggi.

Se non progettiamo l’ambiente sociale (l’esperienza) oltre alla storia che vogliamo raccontare, il nostro progetto finirà probabilmente per essere percepito come la maggior parte dei servizi esistenti cioè come i territori senza legge del selvaggio West.

Nonostante l’immaginario letterario e cinematografico ci abbia dato una visione romantica del selvaggio west furono i disperati, i poveri, i malfattori e i criminali che andarono a ovest; la maggior parte della gente rimase comodamente sulla costa orientale dove c’erano strade lastricate, dottori, bei ristoranti e una scarsissima probabilità di venire colpiti da un proiettile mentre si attraversava una piazza. Se vogliamo che il gioco multiplayer e gli show partecipativi crescano, dobbiamo iniziare a progettare gli ambienti sociali affinché abbiano un appeal per la gente comune piuttosto che per gli sboccatissimi giocatori hardcore i quali, da qualche parte, avranno sempre il proprio West.

L’attività ludica sta finalmente crescendo, sta conquistando nuovi spazi. The Sims, World of Warcraft, la console Wii di Nintendo, i casual game e altre categorie stanno introducendo al gioco nuovi cluster sociali di persone. Ma quanti di questi parvenue del gioco saranno dileggiati invece che accolti al loro primo ingresso in un gioco multiplayer? Nel nostro gioco multiplayer?

Con una progettazione attenta la risposta è “quasi tutti”.

Marco e il team New Media

[divider]NOTE[/divider]
      • [1] Ormai calco il palcoscenico del Mondo da 36(-ette…) anni e da che ho memoria il tappo della CocaCola non è mai cambiato e le pin up sono sparite dalla fine degli anni ’60. Che senso ha la collazione di tappi della Coca Cola che alcuni fanno ancora oggi? Collezionando coriandoli avrebbero più varietà! – TORNA
      • [2] Per chi non lo sapesse, Buridano aveva un asino piuttosto indeciso. Un bel brutto giorno, Buridano portò da mangiare all’asino non la solita biada bensì un mucchietto di fieno e uno di biada. Indeciso su quale delle due cose ciancicare per prima, l’asino morì di fame. – TORNA
      • [3] Nel gergo italiano di Internet, niubbo è l’equivalente traslitterato della parola newbie, il novellino appena arrivato. – TORNA
      • [4] Sul nostro FlopTv abbiamo un filtro di questo tipo per evitare di trovarci con commenti pesanti che non potrebbero essere letti da un minore. Purtroppo il filtro va istruito e quando la soglia ritenuta volgare dai maestri è più alta della media sociale, si finisce per trovarsi commenti come quelli che appaiono di tanto in tanto su alcuni dei nostri filmati. – TORNA
      • [5] Uno shooter è, come dice la parola, un gioco di ammazzamenti vari. Scopo del gioco? Di solito basta sparare senza preoccuparsi della trama la quale, in ogni caso, vede sempre qualche cattivone aver rubato la fidanzata al più incazzoso degli eroi dei videogiochi (coincidente con chi ha il joypad in mano). – TORNA
      • [6] Sull’importanza di avere qualche sorta di bene virtuale persistente ci dilungheremo nell’articolo del prossimo mese. – TORNA
      [divider]RIFERIMENTI[/divider]
      • [1]  J.M. Darley – C.D. Batson, “From Jerusalem to Jericho:A study of Situational and Dispositional Variables in Helping Behaviour”, http:// faculty.babson.edu/krollag/org_site/soc_psych/darley_samarit.html
      • [2]  BENFORD, S., GREENHALGH, C., AND LLOYD, D. 1997a. Crowded
      • [3]  FANCIULLI, M. , “Justice Systems in Massively Multiplayer Online Games”, ACM Transactions on Computer-Human Interaction, Vol. 5, No. 1,May 1998
      • [4]  SWEESTER, WYETH, 1998. Gameflow: a model for evaluating player enjoyment in games
      • [5]  CSICSZENTMIHALYI, 2001. Beyond Boredom and Anxiety
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Quell’utente è un po’ strunz! Il nemico del game designer ultima modifica: 2008-03-22T03:48:31+01:00 da marcofan

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